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Occuparsi di “pedagogia della danza” vuol dire mettere in discussione e a confronto le metodologie di insegnamento, i differenti approcci, punti di vista che dovrebbero guidare il lavoro di un insegnante alle prese con un repertorio di danze tradizionali. Trovare insegnanti preparati, sia dal punto di vista del linguaggio motorio ed espressivo legato al repertorio, sia dal punto di vista comunicativo, non è semplice. Eppure qualche volta li incontriamo: ci comunicano una storia, una cultura, una passione, l’amore per la danza e per la sua espressività. Riescono a farci salire sulle loro spalle per aiutarci a vedere meglio senza per questo atteggiarsi a sapienti o illuminati irraggiungibili. A volte senza neanche sapere la nostra lingua riescono a dipingerci un ambiente, un mondo scomparso instillandoci la voglia di conoscerlo. Ma chi sono questi insegnanti? Esistono veramente? Abbiamo già incontrato le idee dell’ADP francese (Naik Raviart, Yvon Guilcher...) ora continuiamo il nostro viaggio riportando una breve chiacchierata con Pierre Corbefin, direttore del Conservatorio Occitano di Tolosa e specialmente stimatissimo insegnante dei repertori guasconi. Perché la Francia? Non certo per una malcelata esterofilia. In Francia, di cui spesso mi sono occupato per motivi giornalistici, il mondo del folk revival è un po’ più ricco del nostro. La presenza di molte associazioni, di esperienze funzionanti di coordinamento, l’organizzazione di convegni, incontri, la pubblicazione di diverse riviste ha portato ad una riflessione che molte volte ha sfiorato i temi della didattica, della metodologia nell’insegnamento. L’ADP prima e il Conservatorio Occitano oggi ne sono un buon esempio. D: Le danze che insegni non sono spesso danze semplici e il tuo lavoro, ad esempio sui rondò, è un lavoro che si ferma sul particolare movimento, magari ripetendolo più volte fin quasi alla noia. Eppure i tuoi allievi sono generalmente entusiasti e sei seguito con passione da persone che macinano chilometri per esser presenti ai tuoi corsi. Raccontami quale è il tuo modo di avvicinarti alla danza e di comunicare le tue conoscenze, i tuoi studi... Insegnare
la danza tradizionale è comunque insegnare una danza tout court. La prima
cosa che è necessario fare è far capire agli allievi che danzare non è avere
la medesima posizione e postura che si ha nella vita di tutti i giorni.
All’inizio faccio con gli allievi degli esercizi particolari, esercizi
sperimentali che ho acquisito con l’esperienza, per far prendere coscienza
del proprio corpo: devono essere innanzitutto posti di fronte al loro corpo,
non possono ballare con la stessa posizione con cui sono entrati nella sala
in cui si tiene il corso. Spesso la posizione di partenza è o troppo
rilassata o troppo contratta: l’allievo deve capire che è necessario
ricostruire una propria architettura interiore per essere tutt’uno nella
danza con il suo corpo.
Generalmente, inoltre, è facile notare come durante un corso gli allievi
tendano a prendersi cura della parte bassa del loro corpo, dei piedi,
dimenticando il resto. D: Ci sono diverse tipologie di maestri. Quelli che basano il loro insegnamento sulla sola imitazione del passo, quelli che lo scompongono in parti che insegnano separatamente... Tu cosa ne pensi? Io apprezzo
molto le persone che riescono a ballare per imitazione. Dal punto di vista
pedagogico mi sono reso conto che spesso meno si parla, meglio è. Ma io non
sono così. Io ho bisogno di spiegare quello che ho capito del movimento. D: Ma in che punto interviene la spiegazione del passo? Prima lo spieghi e poi lo scomponi per insegnarlo? Io in
realtà non parlo solo del passo. Parlo del movimento, propongo tutti gli
esercizi necessari a entrare in quel dato movimento. Parlando del branle, ad
esempio, il branle (Branle
D’Ossau, N.d.R.) funziona secondo un proprio movimento preciso. Ma si
arriva a questo movimento solo dopo aver studiato le componenti motorie che
ne compongono la base. Chi vuole imparare un branle deve sapere che ci sono
alla base dei principi di movimento molto precisi che devono essere spiegati
in maniera dettagliata. D: Nella pedagogia, nella metodologia di comunicazione di un repertorio di danza tradizionale come giudicare l’invenzione e l’insegnamento di danze nuove create seguendo lo stile del passato? Ci sono insegnanti, come Coclet, come lo stesso Guilcher che hanno proposto nei loro corsi anche danze nuove... Danze di coppia chiusa, bourrée,... Non hai mai pensato di proporre nuove forme di rondò? Conosco
bene Bernard Coclet e so cosa ha portato Bernard e altri come lui a
inventarsi nuove danze... Sono cose apprezzabili, mi piace vederle, ma non
mi interessano. Riguardo ai rondò c’è ancora da fare un grande lavoro di
apprendimento e trasmissione sulle varie forme di rondò che si conoscono. Di
queste danze si sa ancora così poco che crearne delle forme nuove sarebbe
come bruciare anzitempo delle tappe. La situazione della bourrée non è la
stessa. D: Molte persone che ti hanno seguito nei tuoi stage in Italia hanno apprezzato un sostantivo che avevo accostato, in un mio precedente articolo sulle danze della Guascogna, al tuo modo di porti. Nel tuo gesto, nel tuo modo di insegnare avevo detto che c’era una certa ” sacralità”, un modo di proporre le danze che ne esaltasse l’importanza. Che ne pensi? Questo modo
di fare credo arrivi dalla mia infanzia, dal rapporto che aveva mio padre
con la danza. Per me la danza, in fondo, non è solo la danza. E’ qualcosa
cui si attacca qualcosa d’altro. Nel sottotitolo dell’ultimo libro di Yvon,
la danza tradizionale oggi è vista come un “loisir revivaliste”, un piacere
revivalistico. Per me invece è qualcosa di più. E’ più che un divertimento.
Forse perchè è qualche cosa che mi è stato trasmesso dalle persone che ho
amato, da mio padre, da mia madre.
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