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Tutto il materiale è pubblicato per gentile concessione della rivista
“Ghilscer, ti prego, Ghilscer! Con la erre che si sente...”, mi dice una amica comune che si preoccupa di aiutarmi almeno nella pronuncia bretone del nome. Da questa esortazione, come dalla presenza in diverse bibliografie di studi suoi e del padre, si sarebbe portati a vestire il personaggio con un volto un po’ arcigno, cupo, lo sguardo stizzito nel solo sentire storpiato il cognome... Yvon Guilcher. No, di cupo e arcigno non ha nulla. Tanto brillante, ironico è, invece, il suo modo di porsi nei nostri confronti, tanto colorito il suo linguaggio, tra battute e facezie varie, che qualcuno potrebbe essere insensatamente portato a dimenticare le sue qualità di serio ricercatore e studioso. Ma è appunto questo, secondo noi, uno dei pregi della sua comunicativa. Autoironia e passione. Tanto per ricordarci, e lo dirà diverse volte nell’intervista, che sappiamo poco e quel poco che sappiamo dobbiamo comunicarlo ricordando che la danza non è solo un soggetto di ricerche ma anche un piacere condiviso. “La danza popolare non trova il suo senso in quello che lo sguardo vede ma in quello che il danzatore prova”. Parole sue.
Yvon Guilcher. Laureato in
Ethno-histoire (con una tesi sulla cultura e danza tradizionale in
Francia), aggregato dell’Università Paris-4 Sorbonne, membro fondatore
dell’A.D.P.(di cui parleremo nell’intervista), autore di diverse ricerche
e pubblicazioni (di cui riporterò qualche titolo in conclusione), è
conosciuto da molti in Italia sia per la sua sporadica attività
d’insegnante di differenti repertori di danze, sia per la passata attività
di musicista con il gruppo dei Melusine. Con il padre, insigne studioso,
ha respirato fin da piccolo l’atmosfera un po’ rarefatta, ma tanto ricca
della ricerca sul campo.
Lo incontriamo a Milano, impegnato in uno stage/incontro su “La storia della Danza attraverso la Danza” organizzato dal Comitato Danze Popolari del circolo ARCI-Bellezza. Un incontro in cui raccontare, con esempi pratici (le danze), una storia impegnata non solo ad arricchirci di conoscenze ma a fare tabula rasa di certezze false e ingenue. Speriamo di avere riportato nella trascrizione dell’intervista, che subisce nel suo confezionamento diversi aggiustamenti e nella quale ho integrato alcune frasi esplicative registrate nello stage, correttamente il pensiero di Yvon. Temi come quelli trattati avrebbero bisogno di molto più spazio. Ci impegniamo fin d’ora a riprenderli con lui e con altri studiosi in un prossimo futuro.
D: Tu sei un insegnante di danza, un ricercatore, sei queste due cose assieme...Racconta come vivi queste due anime... R: Spero di riuscire veramente ad essere queste due cose insieme. Ma una cosa non sono. Non sono un danzatore tradizionale, non sono stato formato da una tradizione popolare. Nessuno lo può più essere. Ma sono un danzatore, cioè danzo perché mi piace la danza, danzo per piacere e , per la stessa ragione, cerco di condividere questo piacere con altri diventando un insegnante. E poi, in quanto questa danza mi interessa, mi faccio delle domande, approfondisco la storia. E allora divento un ricercatore. D: Puoi spiegarci la situazione della ricerca in Francia? Tu spesso hai parlato di diversi modi di avvicinarsi, di condurre una ricerca,...Esistono, in Francia, correnti, diverse opinioni, nei ricercatori? R: Io farei volentieri una distinzione fra tre categorie di ricercatori. Ci sono quelli che riflettono sulla danza senza fare ricerca...Sono in molti a farlo. Tutti i “folcloristi” dell’inizio secolo l’hanno fatto: si rifletteva sulle forme della danza, sull’origine, la storia,...E lo si fa ancora, ci sono ancora “folcloristi” che dicono che il clima o il paesaggio, o altre cose di questo tipo, devono avere avuto la loro influenza sulle danze... Riflettono, solo riflettono. C’è un altro tipo di ricercatore, invece, che fa ricerca sui libri. Un esempio è Curt Sachs. Un uomo molto colto, erudito, dunque un uomo che sa un sacco di cose ma a cui non interessa andare sul posto, vedere, parlare con le persone. Mai l’ha fatto! Solo ricerca sui libri. Ma c’è una terza categoria ed è composta dai ricercatori che vanno a conoscere i contadini anziani, a chiedere delle cose, a informarsi. Ma in questa categoria si devono ancora distinguere due diversi personaggi. Quelli che fanno “collectages”, che s’interessano in modo particolare di un repertorio di danza, che vogliono approfondirne la conoscenza, trasmetterlo, insegnarlo, e quelli che fanno dell’ “enquête ethnologique”. In quest’ultimo caso il ricercatore si fa delle domande all’inizio della sua indagine e cerca delle risposte a queste domande, arrivando presto a occuparsi della storia della danza, dei suoi aspetti sociologici, antropologici,.... D: Come ricercatore sei più interessato a scoprire archetipi universali tra culture coreutiche diverse con una visione storiografica della danza o ad approfondire la conoscenza di un repertorio specifico? R: All’inizio, né l’uno né l’altro. In me c’era solo curiosità rispetto la danza, cercavo di conoscere un repertorio per poter danzare sempre di più. Ma, allora, quando ho cominciato a fare questa ricerca e a incontrare i contadini che danzavano il mio interesse cambia, il repertorio m’interessa sempre meno, ciò che mi interessa ora è la “qualità” della danza particolare. Quando è danzata da un contadino non è la stessa danza che danziamo noi, lui ha qualcosa di diverso, il movimento non ha lo stesso gusto, sapore. E’ qualcosa che non mi sapevo spiegare e allora mi sono chiesto perché lui danzava così. Ero costretto ad interessarmi della società che “fabbricava” un danzatore come questo, a scoprire, dunque, il problema dei rapporti tra la mentalità sociale e la danza, le sue forme, il modo in cui la danza è vissuta da questo tipo di gente. Da questo interesse sono poi naturalmente portato a vedere dei rapporti archetipici, come tu dici, tra forme di danze differenti...Sì, m’interessa anche questo, ma non è l’oggetto della mia curiosità. Sono portato piuttosto a farmi domande sull’ambiente che ha creato questo tipo di danza, che ne ha fatto quello che è adesso. Questa è la problematica che più m’interessa, per cui sono alla ricerca di risposte. D: Dicevi prima che stai scrivendo un libro sulla storia della danza tradizionale... R: E’ un libro che mi è stato ordinato, commissionato. E io ho detto di sì. Ho accettato subito perché da sempre, quando faccio una conferenza, vedo persone che mi chiedono dove si possono trovare libri che parlano di tutto questo. Non ci sono. Ho sempre avuto voglia di farne uno. C’era già la mia tesi , ma è un lavoro diverso, universitario, un po’ complicato. Questa è un’occasione che mi è stata data dal Ministero della Cultura francese e che mi costringe a riflettere su una “formulazione” accessibile a tutti, per il grande pubblico. All’inizio il Ministero della Cultura voleva solo fare una lista di tutti i film esistenti sulla danza in Francia. Ci siamo trovati in molti a riflettere su questo progetto. Progetto che poi si è trasformato in altro quando il Ministero ha chiesto che ci fosse un libro a spiegazione e a commento... D: Quale Ministero, quest’ultimo o quello precedente alle ultime elezioni? R: E’ praticamente lo stesso per noi perché, pur non essendoci lo stesso Ministero, l’infrastruttura è rimasta : ci sono assolutamente le stesse persone. D: Dunque scriverai un libro sulla danza. Prima tu parlavi dell’esistenza in Francia di diverse tipologie di ricercatori con, immagino, differenti modi di vedere e pensare la danza tradizionale... Io mi chiedo, relativamente allo studio storico e dei repertori, quale è l’impostazione prevalente di oggi? R: Riguardo alla ricerca non saprei dire, perché la ricerca è abbastanza nascosta. Però si può dire qualcosa a partire dal fenomeno del revival. La riscoperta di queste danze ha dietro come un proprio discorso , una propria ideologia che si può riassumere dicendo che la tradizione popolare è vivente, continua a vivere e noi siamo gli strumenti di questa vita come musicisti, come danzatori. Tutti dicono che la tradizione non ha mai smesso di vivere. Io so che è falso, so che è un discorso ideologico non vero, ma è interessante il fatto che hanno bisogno di dirlo, hanno bisogno di richiamarsi ad una tradizione popolare e, insieme, di essere moderni. D: Perciò per te non ha senso il concetto di “tradizione vivente”.... R: Dipende da quello che vogliamo dire con il termine “tradizione”. Qualcuno volendo può anche intendere per “tradizione” la trasmissione di un repertorio tradizionale... Quello che non esiste più oggi è un ambiente, una società che abbia una cultura particolare, originale. Per esempio, in Bretagna la gente aveva un modo proprio di vestirsi, costumi non da palcoscenico, ma costumi per la vita normale. Gli armadi, il mobilio, tutto era caratteristico, si vedeva di primo acchito che un armadio di un certo tipo era bretone. Costume, mobilio, danza,...Tutto questo fa una cultura particolare. La società ha fabbricato, “segregato” una cultura particolare, ma questo non esiste più. Adesso hanno tutti lo stesso blue-jeans e la gente impegnata nel revival dice che tutto questo è normale, che la tradizione è sempre diventata qualcosa di nuovo. Quello che facciamo oggi sarebbe uno sviluppo della tradizione. D: E tu non sei d’accordo... R: No, perché io dico che il blue-jeans non è un’evoluzione del costume bretone, è qualcos’altro. Non c’è continuità, siamo tutti borghesi d’oggi, cittadini o contadini, ma siamo completamente diversi rispetto alla società che ha fatto tutto questo. Basta vedere, tanto per rimanere in Bretagna, quello che è oggi una Fest Noz. Nella tradizione erano l’incontro di gente che aveva lavorato insieme. Dieci, venti, trenta persone al massimo. Persone che si conoscevano da sempre, che avevano sempre fatto tutto insieme : la danza era la continuazione di questo spirito comunitario. Oggi è il contrario, andiamo alle Fest Noz non per ritrovare il contesto del lavoro, i colleghi, ma per dimenticarlo. E’ ormai un ballo borghese, cioè una festa dove vado per danzare, spesso con persone che non conosco affatto. Non è raro trovarsi con molti stranieri, a volte anche migliori danzatori dei bretoni presenti. E’ un altro mondo, un’altra società, un’altra comunità. Ma riguardo a questa discussione sulla continuità o rottura o quant’altro della tradizione io ti posso dire che a me non interessa rimanere a riflettere sulla tradizione. L’unica cosa importante è osservare. Certo, si può anche parlare di continuità o rottura ma allora ho bisogno di andare a vedere. Non è lo stesso dappertutto. Bisogna osservare bene. Anche in tutti i tempi non è stato o in un modo o nell’altro. L’uomo !... No, non esiste l’ “uomo”, non esiste “in tutti i tempi”... Bisogna fare i conti con questa società, a questo punto della storia, ho bisogno proprio di osservare, di descrivere quello che vedo. La sintesi la farò dopo o mai la farò se non ne sarò capace. D: Il modo di pensare di Curt Sachs è desueto, abbandonato da tutti, o c’è ancora qualcuno che la pensa come lui? Un’altra domanda : tuo padre, stimato studioso, che tipo di ricercatore è ? R: Partiamo dalla prima domanda. Sì, ci sono ancora diverse persone come Curt Sachs, soprattutto nei gruppi folcloristici. Mio padre, all’inizio, non era un ricercatore, voleva danzare e, come tutti, credeva a ciò che diceva Curt Sachs. Ha cominciato poi le sue ricerche, ma con molte differenze rispetto a queste persone...Lui è naturalista e questo è molto importante. Dice sempre che bisogna avere al posto delle teorie esplicative la spiegazione dei fatti. Ha avuto, insomma, l’impostazione, l’atteggiamento del naturalista che cerca di capire come sono le cose, che fa ipotesi e vuole vedere se queste ipotesi possono essere verificate o no. D: Per comprendere meglio il tuo discorso ti faccio una domanda più specifica. In Francia molti insegnanti di danza, uno dei più conosciuti è, ad esempio, Bernard Coclet, inventano nuove bourrée. Secondo te è una cosa corretta? Posto che non c’è la continuità di cui parlavamo, è giusto riprendere una bourrèe, danza tradizionale, e inventare nuove coreografie? R: Prima di tutto devo dire che io stesso ho “fabbricato” centinaia di nuove bourrée. Ne ho fatte alcune che sono ballate da gruppi folcloristici che, addirittura, non ne conoscono la vera origine. Ma vorrei parlare anche di Bernard Coclet. E’ un uomo molto onesto e intelligente. Lui sa quello che fa, non pretende di essere un danzatore tradizionale. Chiede sempre : “Chi ha visto danzare una bourrée tradizionale?”. Nessuno può averlo fatto. E ha ragione. Io faccio dei week-end da lui per mostrargli le bourrée che ho fatto. Dunque su questo punto sono assolutamente d’accordo. Se ho voglia d’inventare questa figura inglese sul passo di bourrée, questa forma tedesca, lo faccio, ma non pretendo di creare qualcosa di tradizionale. Ci sono due diverse cose di cui tener conto: la ricerca, dove devi essere assolutamente esigente e dire le cose come sono, e il piacere di danzare, di inventare, che è un’altra cosa. D: Ma poniamo che tu insegni a noi una bourrée nuova. Tu sai che anche qui ci sono persone che insegnano danze. E’ possibile che uno che la impara da te, domani la insegni in un suo corso senza ricordare che non è tradizionale. Questa non è una cosa negativa? R: Sì, è una cosa negativa. Ma il problema è che tutto quello che si fa in una bourrée è coreografia. Non conosciamo niente della bourrée del Berry, tutto quello che si fa in queste danze arriva dall’inventiva di un uomo, Pierre Panis. Lui non nasconde di avere inventato tutte le figure coreografiche. La sua ricerca si svolge durante l’occupazione tedesca, negli anni ‘40. Aveva un gruppo folcloristico e aveva bisogno di figure, di strutture: il passo gli pareva troppo povero. Ha inventato la bourrée d’Issoudun, la bourrée du Pays Forts, la bourrée de la Grande Poterie... Tutto questo con sue coreografie. Ho visto un film sulla Tournante de la Grande Poterie. Non ha niente a che vedere con quello che lui ha insegnato. E’ molto più semplice : avanti, avanti, valzer. Lui ne ha fatto qualcosa d’altro. Tutto ciò che facciamo è assolutamente falso. D: Un ricercatore, parlo della ricerca seria, quanto può andare in profondità ? Quanto può scavare nella storia per scoprire l’origine di una danza ed in particolare di queste? R: Parliamo di mio padre che ha iniziato le sue ricerche nel ‘45. Allora era ancora possibile vedere persone che erano nate nel 1860, come anche la generazione dopo e quella, l’ultima, dopo ancora. E su tre generazioni era molto interessante vedere come le cose erano cambiate, ma già allora non era possibile andare più lontano di queste date. Oggi si possono conoscere persone novantenni che avevano 20 anni nel 1920, ma è già tardi, è un altro mondo. Può essere solo interessante per conoscere bene il periodo tra le due guerre, per capire, ad esempio, che si è di fronte a una società post-tradizionale. E’ anche interessante chiedersi come avviene ancora la trasmissione in un ambiente che non è quello che ha creato queste danze. Ma riguardo a origini più lontane non si può dire nulla, né persone, né libri...O per lo meno bisogna affrontare diversi problemi, necessita una critica particolare, prudente, delle fonti, un approccio storiografico...Si può dire, ad esempio, che i primi libri che indicano il nome di bourrée riguardo a danze sono del XVII° secolo, abbiamo anche un testo normanno che riporta una melodia con parole. Ma sono parole barocche e la musica niente ha a che fare con quella che è per noi la bourrée oggi. Su queste danze ognuno ha detto quello che la sua soggettività gli indicava, ma, in realtà, non sappiamo nulla. D: Avvicinandoci alle tematiche di questo incontro milanese e a proposito di storia e origini, puoi dirci qualcosa dell’incontro nel ‘300/’400/’500 tra cultura coreutica e musicale dei contadini e la musica e danza di corte? R: Direi che prima di questo periodo non sappiamo niente. Ma, a dire il vero, il modo in cui poni il problema è problematico. Per quanto sappiamo, la cultura prima del ‘200 è una cultura condivisa, senza profonde separazioni. Ma le cose cambiano a partire dal ‘300...Il ‘300 è un secolo di separazione totale di culture: la cultura colta, coltissima (con il gotico, l’Ars Nova,...) e la cultura popolare. Ma di questa cultura popolare non sappiamo niente e non c’è nessuna immagine di danza tradizionale...Arriveranno quest’ultime solo alla fine del secolo o all’inizio del ‘400, arriveranno in un momento in cui c’è un ambiente colto che cerca di staccarsi dal mondo popolare. Tutte queste immagini, io penso, sono immagini ideologiche, per dipingere in senso dispregiativo il mondo contadino. La rappresentazione della danza colta, invece, è molto bella. A partire da questo momento c’è comunque uno sguardo, un osservazione costante della danza del popolo che è di difficile interpretazione, anche perché sarà un’attenzione diversa da quello che si avrà nel ‘600/’700/’800. Sarà sempre uno sguardo straniero con il quale poter osservare l’influenza di una classe sull’altra. Ragionando in questi termini si scoprono molte cose interessanti. Si vede, ad esempio, che certi ambienti popolari hanno preso qualcosa dagli ambienti colti. Ma resta da vedere chi, che cosa, come. D: Anche, all’inverso, in ambienti colti è stato preso qualcosa dal mondo popolare... R: Questo è affermato da molti autori, ma non è mai stato dimostrato. Io non ho niente pro o contro questa tesi, non mi interessa assolutamente. Solamente non vedo nessun esempio di tutto questo. Non lo vedo e gli esempi che mi sono stati dati non mi hanno mai convinto. D: Alleggeriamo un poco questi discorsi tornando al personale. Io ti conoscevo anche come musicista dei Melusine. Suoni ancora? R: No, non è più possibile. Suono solo per piacere, per un ballo, con i miei amici, con mio figlio (ho tre figli). Non ho mai cercato di passare la mia vita su un palcoscenico, ho cercato di fare qualcosa di sociale che vivesse di vita propria. D: Come vivi? R: Sono professore di tedesco. Ma la danza mi interessa molto di più. D: Abbiamo accennato, nella presentazione di questa intervista, all’A.D.P., ma credo che molti lettori ancora non conoscono questa sigla... R: L’A.D.P. (Atelier Danse Populaire) è un’associazione nata dall’incontro di persone che volevano lavorare su queste tematiche. Musicisti, danzatori, ricercatori perché ci pareva importante lavorare tutti insieme. Lo scopo di questa associazione è di mettere la danza nella vita della gente per il piacere comune, condiviso, rifiutando l’idea dello spettacolo. D: Quando è nata? R: E’ stata ufficialmente fondata nel 1981. D: Mi pare che in Francia c’è un collegamento tra le diverse associazioni che si occupano di cultura tradizionale... R: Sì, c’è la F.A.M.D.T. (Federations des Associations Musicales et Danses Traditionelles). Questo collegamento è stato deciso dal governo che ha chiesto a tutte le associazioni di lavorare insieme. E’ proprio in questa situazione che è nata l’idea di fare il libro di cui abbiamo parlato.
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